La 23 Esposizione internazionale di Triennale Milano (aperta fino all’11 dicembre), dal titolo Unkown Unknows. An Introduction to Mysteries, è dedicata al tema dell’ignoto. La curatrice Ersilia Vaudo Scarpetta, astrofisica e Chief Diversity officer all’Agenzia Spaziale Europea, chiarisce che l’ignoto non è visto come antagonista, ma è una dimensione a cui lasciarsi andare, un invito a saper guardare oltre i limiti, a mettere in dubbio le nostre abitudini.
Interpreta il tema Daniel Godinez Nivon, che rappresenta il Messico. A seguire una breve presentazione della sua opera “Saggio di Flora Onirica” e l’intervista all’artista.
Artista, messicano, sognatore
Daniel Godinez Nivon è un artista messicano nato a Città del Messico da genitori originari dello Stato di Oaxaca, nel sud-ovest del Paese. Giunti a Città del Messico negli anni Cinquanta del Novecento i loro genitori, nonni dell’artista, avevano dovuto mettere da parte la propria origine indigena e la lingua zapoteca che parlavano per limitare la forte discriminazione sociale. Daniel Godinez Nivon da oltre un decennio ha iniziato a interrogarsi circa la propria identità e quella dei migranti indigeni che vivono nella capitale messicana. Si è avvicinato all’AMI (Asamblea de Migrantes Indigenas de la Ciudad de México) e al sistema collaborativo chiamato tequio, volontario, non retribuito, obbligatorio a beneficio della comunità. All’AMI gli hanno spiegato che lavorare con il tequio significa essere parte di qualcosa e gli hanno chiesto quale contributo si sentiva di dare alla comunità. Daniel Godinez Nivon ha risposto: “vorrei dipingere”. Così è nato il progetto delle tequiograficas (da tequio), materiale didattico per trasmettere nelle scuole un’altra visione, rispetto a quella diffusa dalle monografie ufficiali distribuite dallo Stato, che racconta la cultura e lo stile di vita delle comunità indigene.
Un laboratorio dei sogni
Daniel Godinez Nivon ha ideato il laboratorio “Propedeutica onirica” per lavorare alla condivisione dei sogni ispirandosi alla tradizione delle levatrici della comunità indigena Triqui di San Juan Copala, nello Stato di Oaxaca. Attraverso sessioni settimanali di meditazione, disegno e scrittura, ha raccolto i racconti relativi ai sogni sulle piante dei partecipanti, in particolare un gruppo di ragazze dell’orfanotrofio Yolia a Città del Messico. Sono seguiti due anni di lavoro con il gruppo, che hanno dato vita a piante immaginarie, che non esistono nella realtà. In seguito, botanici e illustratori hanno studiato la flora onirica come se esistesse realmente ricavandone illustrazioni scientifiche, modelli e animazione 3D. Frutto del laboratorio ideato dall’artista, l’opera “Saggio di Flora Onirica” esposta alla 23 Esposizione internazionale di Triennale Milano si compone di una proiezione olografica di tale vegetazione immaginaria con animazione 3D.
L’intervista a Daniel Godinez Nivon3D.
Lei rappresenta il Messico alla 23 Esposizione internazionale di Triennale Milano con l’opera “Ensayo de Flora Onirica”. Che cos’è la sua flora onirica e come nasce l’opera?
Nel 2010 ho realizzato un progetto che si chiama tequiograficas, materiale didattico per le scuole in formato A4 con i miei disegni da un lato e dall’altro il testo bilingue in spagnolo e lingua indigena del territorio in questione (n.d.r. in Messico si parlano una sessantina di lingue indigene, che definiscono altrettante comunità). Per realizzare questa diversa versione rispetto a quello che si insegna nelle scuole, dove sono in uso analoghe schede monografiche, ho lavorato con AMI (Asamblea de Migrantes Indigenas de la Ciudad de México). Realizzando una tequiografica sul tema della salute, ho conosciuto alcune levatrici della comunità indigena Triqui di San Juan Copala, nello Stato di Oaxaca, dalle quali ho compreso l’importanza dei sogni come fonte di insegnamento e di apprendimento. È stato l’inizio. Ho quindi ideato il laboratorio “Propedeutico onirico” con l’idea di realizzare un’opera a partire dai sogni.
Cosa vuole comunicare l’installazione “Saggio di Flora Onirica”?
L’installazione è un esercizio per realizzare un processo interdisciplinare. La materialità del sogno, la manipolazione della luce nello spazio per creare un’illusione ottica, le piante che galleggiano nell’oscurità. Chi entra nello spazio oscuro dove è l’installazione, lascia volare l’immaginazione.
Lei lavora da oltre dieci anni in collaborazione con AMI con il sistema del tequio, una forma di lavoro collettivo in uso nelle comunità indigene, specialmente a Oaxaca. Che cosa le ha dato quest’esperienza?
Dal tequio ho imparato l’importanza del silenzio in un’assemblea, l’ascolto e il rispetto delle parole degli altri. Non mi ero mai sentito così ascoltato. Il lavoro collettivo del tequio rende possibile ampliare il lavoro, ne amplia la potenzialità. È uno strumento in più, non è perfetto, funziona in piccoli contesti, ci può ispirare. Funziona se c’è l’intenzione di creare insieme.
Lei è interessato alla trasmissione dell’eredità indigena ai migranti che abitano nella capitale. Quanto è presente nelle sue opere la tradizione zapoteca di Oaxaca da dove lei proviene?
Come artista visivo, mi sono chiesto: che cosa voglio rendere visibile? Il tequio, una pratica, qualcosa di invisibile. Come renderlo visibile? Mi interessava evitare che fosse visto come folclore. Non uso fotografie per documentare il processo, solo disegni.
Si può rintracciare qualche elemento autobiografico nell’opera?
Tutti i miei progetti che si sono sviluppati nel tequio rimandano alla necessità di stare con gli altri e questo è legato alla mia storia personale nel senso della domanda che mi sono posto riguardo alla mia identità. Ho perso un fratello quando ero piccolo, ho vissuto l’esperienza della morte. La otredad, l’alterità, esiste.
La sua famiglia è originaria di Juchitàn, un luogo molto particolare in Messico nell’Istmo di Tehuantepec. Quali suggerimenti vuole dare a chi lo visita?
In qualsiasi viaggio, in qualsiasi posto, anche per me qui a Milano, suggerisco di mantenere lo sguardo aperto, di lasciarsi condurre. Juchitàn è un luogo molto speciale, anch’io lo scopro poco a poco e ogni volta che vado è un viaggio differente.
Lei è un artista socialmente impegnato. Qual è il ruolo dell’arte per lei?
L’arte è uno strumento che può partecipare al processo di conoscenza del mondo e della propria identità. Ha la possibilità di generare spazi di significato. Oltre alla realizzazione delle opere, seguo la distribuzione dell’opera e la sua fruizione, che sono molto importanti. Come per le tequiografias, che si acquistano in cartoleria a 2 pesos come le monografie ufficiali. Le tequiograficas dovevano essere distribuite, altrimenti sarebbero risultate inutili.
In Messico c’è molta energia creativa e molte possibilità di espressione artistica. Qual è il messaggio che si sente di dare ai giovani artisti?
Ho la fortuna di essere professore di arte, insegno disegno alla UNAM (Universidad Nacional Autonoma de México). Ho la fortuna di essere in contatto con i giovani. Il messaggio che mi sento di dare loro è: “grazie, grazie che mantenete l’arte come uno spazio di interesse”.
Nella sua opera ci sono piante immaginarie che non esistono nella realtà, che botanici e illustratori hanno studiato come se fossero reali. Come definirebbe il rapporto tra realtà e immaginazione in Messico?
Ho trovato molto interessante parlare con la gente di Ami. I sogni notturni per le comunità indigene sono parte della realtà e hanno il potere di modificarla, sono qualcosa di molto pragmatico. Saper sognare è la nostra saggezza, non tutti sanno sognare e soprattutto condividere i sogni. Ci sono comunità che ogni mattina si raccontano i sogni della notte. Nella comunità i sogni diventano pratica collettiva. Al di fuori del mondo indigeno, abbiamo perso la nostra relazione con i sogni. Per me è importante che i sogni siano un’esperienza collettiva.
Essay on Oneiric Flora from Daniel Godínez-Nivón on Vimeo.