Una risata fragorosa, tanto forte da richiamare l’attenzione. Anzi, uno scoppio di risa, quasi uno sghignazzo. Chiunque fosse, rideva e rideva.
Era una risata piena, scoppiettante. Prendeva possesso dell’aria. Poi una pausa, e di nuovo la risata. Alcuni si innervosivano senza sapere chi fosse e soprattutto perché diavolo ridesse, magari anche di loro. Ma perlopiù le persone si affacciavano ai balconi o alle finestre per vedere quale fosse il soggetto felice che rideva a quel modo, ripetutamente. Era un piacere ascoltarla, la risata, trasmetteva vibrazioni. Ma chi era che rideva? Nessuno aveva visto il soggetto. Era alto, era basso? Era magro, era grasso? Nemmeno l’età era chiara. Non giovanissimo, ma nemmeno vecchio. Forse che esiste un’età della gioia? Ma poi, era una manifestazione di gioia la sua o magari di scherno? Oppure un riso di sollievo? Quando rideva gli si inumidivano gli occhi? Poteva anche essere una risata nervosa, nessuno avrebbe potuto dirlo con certezza.
L’uomo, questo sì era chiaro, si trattava di un uomo, rideva, ma di che cosa poi? Era da solo o in compagnia? Dove abitava? Non lontano, certo, ma dove? Non si sentiva la voce, solo la risata. Fragorosa. Chi lo cercava, avrebbe voluto acchiapparne qualche brandello.
C’era un’invidia nell’aria.
Si domandavano tutti come ci si sentisse a ridere così. Era una risata liberatoria? Era di buonumore? Com’era possibile che quell’uomo fosse uscito dalla pandemia, da quel periodo infelice che aveva afflitto il mondo, ridendo? Aveva sentito dei morti, del dramma? Il tempo sospeso dove l’aveva colto? Nessuna risposta e tante congetture degli abitanti del palazzo. Pareva la sua una risata paradossale, forse una regressione causata dal disagio, dall’inquietudine.
Non era sempre stato così l’uomo che ride. Prima della reclusione imposta dall’emergenza sanitaria, che chiamano lockdown, non si era mai sentito. Nessuno avrebbe saputo dire se fosse una persona allegra o triste, ma d’altronde nessuno lo sapeva con esattezza nemmeno di se stesso, anzi nessuno si era mai posto la questione.
Gli abitanti del condominio, che durante la clausura era diventato il quartiere la città il mondo, in fondo erano pochi, si conoscevano appena, si fermavano a stento a scambiare parole, si guardavano di sfuggita. C’era un adolescente che andava dicendo che l’epidemia era un’infamata, ma nessuno lo capiva nel paese dei vecchi. C’era un professionista famoso al quarto piano, la moglie, un architetto francese, un paio di famiglie con figli grandi, una coppia con figli piccoli. Si sapeva appena dove risiedevano, magari le professioni che svolgevano, ma forse qualcuno conosceva i loro desideri, i sogni, le passioni che coltivavano? L’eccezione era il ragazzo gentile, quasi un pesce fuor d’acqua. Faceva piacere incontrarlo. Aveva facilità di relazione, un’istintiva umanità. Non faceva nulla di speciale, sia chiaro, ma guardava negli occhi, ascoltava, dialogava per il solo piacere di farlo. Che mostrava di poter trasmettere agli altri.
Il virus era piombato all’improvviso a rimettere le cose a posto alterando equilibri, squilibri. Il mondo di tutti era stato stravolto in modo inaspettato e abbastanza improvviso (almeno per la maggioranza delle persone). Nessuno avrebbe potuto immaginare di vivere una pandemia. Ancora più di prima le persone si erano chiuse, diffidenti, tese. Dominava la paura. Eppure, escluso il mondo esterno per via delle limitazioni, si era liberata per alcuni la vita interiore, i rapporti familiari, i rapporti più stretti, un’intimità accogliente. Ma come sarebbe stato il mondo dopo? Quale forma avrebbero assunto le città, prime vittime del contagio planetario? Sarebbero state messe sotto tutela? Era stato bello vedere gli animali per strada, il traffico sparito, l’aria più pulita, la natura che aveva ripreso i propri spazi. Quale forma avrebbe assunto la convivenza umana? Tutti se lo chiedevano.
La risata si iniziò a sentire anche in ascensore. Diffondeva una lieve inquietudine neanche fosse lei stessa “il” soggetto. Poco alla volta cominciò a innervosire gli inquilini, che diedero la responsabilità a lui, l’uomo che ride. Gli intimavano di tacere dai pianerottoli, dal cortile, dal tetto. Che voglia poteva avere di ridere chi aveva perso il posto di lavoro? Credeva forse che il mondo sarebbe cambiato in meglio? Non aveva vissuto anche lui il tremendo periodo del Covid-19 nell’anno che sarebbe finito sui libri di storia? Con che faccia tosta rideva, forse lui era immune e rideva di loro? I sentimenti erano mutati, non più stupore e invidia, ma fastidio, rabbia. La reclusione la solitudine l’attesa lo spavento i sogni agitati erano stati dolorosi anche in assenza di perdite, di lutti. Si erano scoperti tutti vulnerabili, gli ammalati, i familiari degli ammalati, gli amici dei familiari degli ammalati, coloro che non si erano ammalati.
Ma la risata ignara si era impadronita dell’ascensore, abitava l’ascensore.
Non c’era nulla da fare: anche se l’ascensore era vuoto, la risata rimbombava più che mai. Venne chiamato un tecnico, che non fu in grado di riparare la risata, ridurne l’impatto o estrometterla dal vano dell’ascensore. Gli abitanti divennero sempre più impazienti, nervosi. Possibile che gli uomini convinti di controllare tutto non potessero controllare uno sghignazzo? L’uomo che ride non si mostrava. La sua risata era svanita, evaporata, rimaneva la risata in ascensore. Li aveva forse abbandonati? Il solo pensiero annichiliva chi a quella risata fragorosa si era abituato.
Un giorno accadde un fatto strano, che in qualche modo anticipò il futuro. L’homo che ride fu visto di spalle entrare in ascensore, dove rimase intrappolato. L’ascensore saliva e scendeva, scendeva e saliva. La risata si propagava da un piano all’altro, fino al tetto del palazzo. Furono notate persone che si sbracciavano dall’alto in cerca di aiuto. La clausura prolungata aveva finito per dare alla testa proprio mentre il lockdown era stato revocato. Ma le strade erano vuote, le città deserte, la gente spaventata a parte i complottisti che la sapevano più lunga di tutti e se ne infischiavano del virus e degli altri. Ci fu un crescendo, la risata si impossessò dell’intero palazzo, le cantine vibravano. All’improvviso suonò l’allarme e fu silenzio. L’uomo che ride fu visto di spalle uscire dall’ascensore, aveva placato la risata evasa.
Per alcuni giorni nessuno osò affacciarsi, timoroso che tutto riprendesse come prima, speranzoso che tutto fosse diverso da prima. Poi tutto cambiò e nessuno sapeva spiegare in che modo, anzi, nessuno cercava spiegazioni. Era come se il mistero del mondo fosse entrato sottopelle. Eppure non erano cambiate le città, l’inquinamento, la protezione dell’ambiente. Nessuno poteva dire se il mondo fosse migliore, ma nel condominio ora ridevano tutti come bambini. A volte la risata aveva persino sostituito il saluto. C’era chi l’aveva resa un esercizio fisico. Chi la praticava con determinazione. Si rideva della vita, per la vita? Era successo per caso? Sarebbe durato solo un istante? Era un cambiamento nella percezione, una forza potente.
Ora gli abitanti del palazzo erano allacciati gli uni agli altri, parte di un tutto. Chi ride, cambia, quando ridi, cambi.
Certo, ognuno rideva a suo modo, non tutte le risate erano uguali. La risata dell’uomo che ride rimaneva inconfondibile, lui ora si guardava intorno, un po’ stupito, forse divertito, possibile che una risata avesse contagiato il mondo? C’era il risolino della signora del quarto piano, che aveva il marito famoso e un cagnolino sempre in mano. C’era la risata di cortesia del custode convinto che fossero tutti impazziti. C’era la risata un po’ malvagia dell’uomo d’affari che si era visto sfumare chissà quale business. C’era la risata ardente del terzo piano di una donna anziana che l’aveva scampata. C’era la risata discreta del ragazzo gentile. C’era la risata forestiera (altri popoli ridono per motivi diversi secondo un senso dell’umorismo diverso e con suoni diversi) del secondo piano dove risuonavano anche le uniche risate infantili del palazzo.
Solo gli stranieri avevano bambini nel condominio, ma loro venivano dal Nuovo Mondo, un mondo giovane. Erano entrati nel mondo nuovo con una risata inaspettata.
Ora nel mondo nuovo si rideva a crepapelle come in una seconda vita.
copyright Francesca Piana