Louis Kahn a Venezia è il titolo della mostra che, fino al 20 gennaio prossimo, apre a Mendrisio la stagione espositiva del nuovo Teatro dell’architettura (http://www.arc.usi.ch/it ) dell’Università della Svizzera Italiana, progettato da Mario Botta, che è anche il direttore artistico e l’ideatore della mostra, curata da Elisabetta Barizza in collaborazione con Gabriele Neri. Unico nel suo genere, il Teatro, a pianta circolare con tre piani fuori terra e due interrati, si rifà alla tipologia del teatro anatomico delle scienze mediche e mira a cogliere i segnali del territorio stimolando una riflessione sull’architettura.
Il nuovo edificio del campus dell’Accademia di Architettura “nella sua forza geometrica e nella sua essenziale spazialità rivela l’influenza che Kahn ha avuto sul lavoro di Mario Botta, il quale collaborò con il Maestro americano in occasione del suo progetto per Venezia, alla fine degli anni Sessanta, quando Botta era un giovane studente.” (questa come altre citazioni seguenti sono tratte dal bellissimo catalogo, con i saggi dei curatori Elisabetta Barizza e Gabriele Neri e la testimonianza diretta di Mario Botta).
Louis Kahn: “Venezia è l’architettura della gioia. Adoro questo luogo, che è un insieme nel quale ogni edificio collabora con gli altri. Un architetto che voglia progettare a Venezia deve pensare in termini di collaborazione. Lavorando al progetto, ho pensato costantemente agli edifici che amo così tanto a Venezia, chiedendomi se mi avrebbero accettato in loro compagnia.”
Un progetto e una mostra di grande attualità
“Per la prima volta viene messo in scena il profondo legame tra l’architetto estone-americano, uno dei maestri del ‘900, e la città di Venezia cominciato nel 1928 con la sua prima visita in Laguna, proseguito nei decenni successivi con altri viaggi e consolidato con le partecipazioni alla Biennale, l’amicizia con Carlo Scarpa, le diverse lezioni e soprattutto con il suo progetto, rimasto sulla carta, per il Palazzo dei Congressi.” Sostiene Mario Botta: “Questa mostra parla di una Venezia immaginaria che avrebbe potuto essere, ma non è stata”.
L’esposizione tratta del progetto architettonico di Kahn, ma anche del suo rapporto culturale ed emotivo con la città e dell’eredità di un architetto, lasciato un po’ nell’ombra, il cui pensiero lucido e innovativo e la lettura approfondita del contesto indagavano il “complesso rapporto che si instaura tra passato, presente e futuro in un luogo così eccezionale come Venezia”. Raccogliendo la sfida dell’incontro tra antico e moderno, Kahn sosteneva la necessità di immettere linfa vitale con nuovi progetti architettonici all’interno di una città antica per non imbalsamarla, un tema che rende la sua visione e la mostra straordinariamente attuali.
Modelli, fotografie, schizzi, disegni, videoinstallazioni, lettere e altri documenti in parte inediti, reinterpretazioni grafiche dell’architettura veneziana, oltre a registrazioni delle lezioni e conferenze veneziane di Kahn, sono esposti nei tre piani del Teatro, dalle cui gallerie si ha sempre Venezia come sfondo e la voce di Kahn come accompagnamento. Al secondo piano sono in mostra i bellissimi pastelli originali e i disegni che l’artista-architetto realizzò durante i suoi due importanti viaggi di formazione in Europa, l’uno negli anni 1928-29, l’altro nel 1950-51. Al terzo piano i disegni originali, gli schizzi e i plastici del progetto del Palazzo dei Congressi ai Giardini della Biennale. Avvertendo la necessità di ridefinire l’intera area dei Giardini, Kahn riprogettò anche il Padiglione principale della Biennale.
Contro la museificazione di Venezia
Faceva riferimento alla carica di futuro di Venezia anche lo storico dell’arte Giuseppe Mazzariol, al quale è dedicata una sezione espositiva, che giocò un ruolo fondamentale nel rapporto tra Kahn e Venezia. Mazzariol, che si batteva contro la museificazione della città e contro la riduzione di Venezia a “rudere turistico, che sarà esattamente il contrario di Venezia”, mirava a rilanciare la città e la sua capacità di rinnovarsi in linea con la modernità. Fu Mazzariol, allora direttore della Fondazione Querini Stampalia, docente universitario e politico veneziano, che decise di dare l’incarico di costruire un nuovo Palazzo dei Congressi ai Giardini della Biennale a Louis Kahn (per conto dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Venezia) e nell’aprile del 1968 si recò a conferirglielo a Philadelphia. “Nello studio di Philadelphia Kahn, commosso, accettò con entusiasmo l’incarico. Kahn nutriva per Venezia una vera e propria adorazione: risaliva al 1928 il suo primo viaggio nella città lagunare (un viaggio iniziatico dall’Estonia al Mediterraneo), che l’architetto percorre, studia a e disegna dando così inizio a un serrato confronto intellettuale.”
Rivitalizzare Venezia
Mazzariol a Philadelphia presentò a Kahn anche la sua idea di fondare una scuola dedicata “al problema di Venezia”, che fu fondata (1968) nelle due sedi di Venezia e Firenze con il nome di Università Internazionale di Venezia al fine di sviluppare un confronto permanente di idee per rilanciare le due città attraverso progetti concreti, capaci di “coordinare l’eredità del passato con l’attualità”. Kahn, profondamente convinto che una città come Venezia dovesse avere una scuola dedicata esclusivamente a Venezia, sostenne il progetto, assai lungimirante, partecipando con alcune proposte didattiche.
Si inseriscono in questa visione di Venezia anche i progetti di Frank Lloyd Wright e Le Corbusier – ai quali è dedicata una sezione della mostra con i disegni originali – che prima di Kahn erano stati chiamati a esprimere l’architettura moderna nello speciale tessuto urbano veneziano, rispettivamente per una casa di studenti-architetti sul Canal Grande (1953-54) e per il nuovo Ospedale in zona San Giobbe (1964). I loro progetti non furono mai realizzati. Nel 1968 Kahn partecipò con Carlo Scarpa – al quale lo legò una profonda amicizia con incontri a ogni ritorno di Kahn a Venezia (in mostra fotografie e una registrazione dell’incontro che ebbe luogo a Treviso nel maggio 1968) – alla XXXIV Biennale d’Arte di Venezia e nel 1972 venne coinvolto nel progetto della mostra presentata alla XXXVI Biennale dal titolo Quattro progetti per Venezia allestita da Carlo Scarpa.
Alla scomparsa di Kahn, ebbe a dire Scarpa: “Non chiamatemi Maestro, l’ultimo dei Maestri è stato Louis Kahn e la sua morte è stata una grave perdita per l’architettura.”

La mancanza di visione
Kahn presentò il suo progetto per il Palazzo dei Congressi inaugurando la mostra allestita a Palazzo Ducale il 30 gennaio 1969 simultaneamente alla partenza degli astronauti per la Luna, di cui disse: “Quando gli astronauti sono giunti sulla Luna, io ero con loro e ho visto la terra, di marmo blu e rosa. Tutta la conoscenza era sparita e ogni cosa era divenuta poco importante. Solo la meraviglia era rimasta (…) e alcune altre cose non erano scomparse: il desiderio di scrivere una nuova fiaba, la Quinta Sinfonia di Beethoven era ancora lì e, nella mia mente, Venezia era ancora lì perché Venezia è un puro miracolo.” (Louis Kahn, Conferenza Fondazione Cini, 22 marzo 1971).
Nonostante l’eco internazionale del progetto per il Palazzo dei Congressi, che fu pubblicato su molti giornali e riviste, la Città di Venezia bocciò l’idea di costruirlo ai Giardini e, “con una decisione per nulla ponderata, come riportato da Mazzariol, l’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Venezia decise di spostare l’edificio nell’area dell’Arsenale.” L’architetto adeguò il progetto al nuovo sito, ma “presto emerse chiara la mancanza di volontà politica per realizzarlo, consegnandolo nel limbo delle occasioni mancate per Venezia.”
Immaginare Venezia con (anche) gli edifici di Kahn, Le Corbusier e Wright, proiettata nel XX° secolo e non solo (splendida) città monumento, è davvero un grande rimpianto per le occasioni perse.
Sono completamente d’accordo. Pensare che c’erano le idee e chi poteva realizzarle e nulla si è fatto per l’ottusità di chi, potendo decidere, non l’ha fatto lascia l’amaro in bocca speecialmente vedendo, come avevano previsto, Venezia ridotta a “rudere turisico”. Avevano pensato a una scuola ad hoc, con una sede anche a Firenze, che non sfugge al medesimo triste destino.