“Noi Nurayev non siamo russi, siamo Tartari.” E ancora: “siamo indomiti, impetuosi, ma anche languidi e sensuali.” Ecco nel film Nureyev di Jacqui e David Morris (candidati al British Academy Film Awards), il 29 e il 30 ottobre nelle sale cinematografiche italiane (elenco su www.nexodigital.it), abbozzata l’origine del guerriero della danza dall’intensità animalesca: Rudolf Nurayev, il sublime ballerino e coreografo, che calcò i palcoscenici di mezzo mondo divenendo un divo acclamato a livello internazionale, che frequentava il jet set mondiale. A 25 anni dalla morte di colui che è considerato il più grande ballerino del Novecento, un film di grande intensità, esteticamente molto bello, che porta a conoscere la natura dell’uomo e del danzatore, con la colonna sonora originale del pluripremiato compositore Alex Baranowski, i tableaux di danza moderna diretti da Russell Maliphant del Royal Ballett, una sequenza di bellissime fotografie di Richard Avedon, interviste e filmati inediti.

Cresciuto in un ambiente poverissimo e totalmente femminile mentre il padre era impegnato sul fronte di guerra, Rudolf sviluppò la passione per la danza, incoraggiato dalla madre, fin da giovanissimo grazie all’incontro con Anna Udelcova, una donna straordinaria, settantenne, che era stata allieva del grande propulsore del balletto russo Sergej Djagilev, la quale ne comprese il talento e gli insegnò i rudimenti della danza classica. A lei rimase legato rivedendola dopo il suo lungo esilio quando la Udelcova aveva cent’anni. L’incontro, nella scena del film, è commovente. Nurayev dovette combattere per coltivare la sua passione contro il padre che, rientrato dalla guerra, era contrario a ogni forma di danza e, ogni volta che il figlio scappava di casa per andare a lezione di ballo, lo picchiava. Ma la determinazione di Rudolf e la sua tenacia ebbero il sopravvento, in quel momento e sempre nella sua vita. Intrepido, travolgente tanto da essere definito una “pantera umana”, esigente con se stesso e con gli altri, era al tempo stesso capace di abbandono e di commozione.
All’epoca della Guerra Fredda è la carta della cultura che l’Unione Sovietica decise di giocare in campo internazionale e quella della danza in particolare. Si ascolta nel film: “noi non abbiamo i frigoriferi, ma abbiamo le migliori compagnie di ballo del mondo”. I politici sovietici decisero di puntare su Nurayev, il cui talento era stato notato, facendolo studiare a Leningrado, dove in breve tempo divenne un solista del Teatro Kirov. La compagnia di ballo Kirov fu mandata in tournée all’estero, ma quando il successo personale di Rudolf Nurayev a Parigi travolse tutti, temendo che potesse offuscare il prestigio del corpo di ballo, venne deciso di far proseguire la tournée a Londra senza Nurayev. Fu un momento drammatico nella vita dell’artista, che minacciò il suicidio se avesse dovuto rientrare in patria consapevole che sarebbe stato relegato in palcoscenici di provincia. Quindi Nurayev, “uno spirito libero” – del quale la sorveglianza del KGB che lo controllava diceva che non obbediva – prese la grande decisione che cambiò la sua vita: il 16 giugno 1961 disertò e rimase a Parigi sconvolgendo il mondo intero. Condannato per alto tradimento a anni di carcere, non gli fu possibile rientrare nel suo Paese e rivedere la madre e le sorelle per moltissimi anni fino a che, grazie all’apertura politica di Michael Gorbaciov, gli venne concesso di tornare fugacemente per visitare la madre ormai prossima alla fine. La sua emozione fu grande.

Alla fine del 1962 Nurayev conobbe Margot Fonteyn, prima ballerina del Royal Ballet, che lo invitò a Londra. Si racconta nel film: “Margot lo invitò a ballare a Drury Lane. Fu come un’esplosione sul palco. Aveva alzato il livello a tal punto…”. L’incontro con Margot Fonteyn, più anziana di lui e convinta di essere sulla via del declino, fu travolgente, la loro sintonia assoluta, i loro spettacoli emozionanti, la loro storia professionale e personale intensa e duratura, innumerevoli le tournée del Royal Ballet che li videro danzare in coppia nei maggiori teatri del mondo. Insieme alla Fonteyn, Nurayev rivoluzionò l’interpretazione dei maggiori balletti, a partire da Il lago dei cigni, modernizzando la danza classica e potenziando i ruoli maschili. Durante una tournée in Danimarca Nurayev conobbe lo straordinario ballerino danese Erik Bruhn, di dieci anni più vecchio, con il quale ebbe un’intensa e tormentata relazione amorosa e con il quale danzò sui palcoscenici di mezzo mondo. Nonostante i rapporti discontinui con l’amante e rivale, Rudolf non mancò di accompagnarlo fin sul letto di morte. Nurayev, un uomo dalla determinazione assoluta che nella vita scelse sempre l’arte, la sua arte, la danza, su tutto il resto, un uomo dal carattere difficile, pianse alla morte di Margot Fonteyn chiedendosi che senso avesse continuare a vivere dopo la scomparsa della sua compagna di ballo. Nurayev “l’amava profondamente”, di un amore profondo, in comune la passione totalizzante per la danza. Il film, e la vita, di Nurayev si chiude: “Si vive finché si può ballare”.

Trailer qui: https://www.youtube.com/watch?v=QVI2FP9jo28