Chi era Giò Ponti? L’architettura di Gio Ponti a Milano è ricca e varia. Soprattutto noto per avere progettato a Milano il grattacielo Pirelli e diverse chiese importanti, Giò Ponti era un architetto poliedrico che spaziò dall’architettura al design, dalla comunicazione all’arte, affiancando alle grandi opere un’ampia produzione nel campo dell’arredo. Aveva una passione per la pittura. Si occupò di allestimenti di mostre e anche di piani urbanistici, disegnò scenografie e costumi teatrali. Fu coinvolto nelle Triennali di Milano e in altre grandi esposizioni dell’epoca, fu attivo protagonista nel settore editoriale. Il comune denominatore che lega l’intera sua produzione, dalle grandi alle piccole opere, è l’arte. Ponti, ha lavorato a Milano, Roma, Padova, Vienna e, nel dopoguerra, sulla scena internazionale grazie a prestigiose commissioni che l’hanno condotto dall’America latina agli Stati Uniti, dal Medio Oriente all’Oriente. Seguiamo le numerose tracce architettoniche che Gio Ponti ha disseminato nel capoluogo lombardo scoprendo quello che spesso è confinato in un ambito specialistico pur se in realtà è accessibile a tutti. Ponti, versatile e modernissimo, ha insegnato ad amare l’architettura.

 

 

 

 

 

L’uso della ceramica

 

 

 

 

Giovane laureato, Gio Ponti viene chiamato nel 1923 come direttore artistico dalla manifattura ceramica Richard-Ginori (da vedere il negozio in via Pontaccio/piazza San Marco 3), ruolo che mantiene per anni rinnovandone l’intera produzione e differenziandola. Progetta prodotti di lusso ma anche articoli in serie di largo consumo. Fa compiere all’azienda un importante salto di qualità con oggetti di altissimo pregio esecutivo, innovativi per disegno, forma e tipologia, caratterizzati da decori ispirati all’arte greca, romana, etrusca, all’architettura palladiana e all’arte figurativa dell’epoca. Con le sue ceramiche la manifattura vince il “Gran Prix” all’Expo di Parigi del 1925. Ponti acquisisce grande dimestichezza con il materiale ceramico, che predilige. Un elemento caratteristico della sua architettura è l’utilizzo di piastrelline tridimensionali, più o meno spesse, che si trovano in quasi tutti i suoi edifici.

 

 

 

 

 

 

Gio Ponti
Ceramica Richard-Ginori

 

 

 

 

Gio Ponti
Ceramica Richard-Ginori

 

 

 

 

 

La casa all’italiana

 

 

 

Nel 1928 Gio Ponti fonda, con Gianni Mazzocchi, la rivista Domus e la dirige per lungo tempo continuando, quando non è più direttore, come collaboratore fino alla fine della sua vita. È il suo strumento di diffusione delle nuove idee progettuali in architettura, nel disegno d’arredo e nelle arti decorative. Ponti sulle pagine di Domus (1928) rilancia la casa all’italiana. Scrive: “…Non vi è grande distinzione tra interno ed esterno. Da noi l’architettura di fuori penetra all’interno, dall’interno la casa italiana riesce all’aperto con i suoi portici, le sue terrazze, con le pergole e le verande, le logge e i balconi, le altane e i belvedere, invenzioni tutte confortevolissime per l’abitazione serena e tanto italiana che in ogni lingua sono chiamate con i nomi di qui.” È un racconto corredato da grandi immagini a colori e lunghe didascalie, una rivoluzione anche giornalistica. Ponti sostiene il made in Italy, quello che è l’Italia da tutti i punti di vista, ma in particolare l’Italia dell’arte, compresa l’architettura, e delle arti. Negli stessi anni nasce Casabella che, come Domus, sarà dedita a raccontare l’architettura.

 

 

 

 

 

La dimensione sociale dell’architettura

 

 

 

 

Ponti arriva all’architettura in un secondo tempo dopo esseri avvicinato alle arti applicate. Al Politecnico di Milano Giò Ponti è prima docente (anche di Saul Steinberg, si veda http://blogfrancescapiana.it/saul-steinberg-milano-new-york/), poi rettore. La nuova sede della Facoltà di Architettura viene realizzata negli anni Cinquanta con il progetto redatto da Ponti in collaborazione con Giordano Forti. Ponti non firma gli edifici dato che mira a realizzare una sorta di nave scuola per formare le nuove generazioni coinvolgendo in un progetto comune, non realizzato, tutti gli architetti docenti all’università. A lungo trascurato, Ponti è stato considerato fino a tempi recenti un architetto borghese e poco riconosciuto (solo nel 1983 dopo la sua morte gli viene dedicata una mostra). È un destino comune anche ad altri architetti quali Guido Muzio e Caccia Dominioni, figli del Politecnico che apre verso una dimensione sociale dell’architettura. Si disegna la città con l’idea, un po’ utopica, di incidere sul benessere sociale, con alti ideali. In realtà tali architetti, Giò Ponti in primis, hanno lasciato un’impronta molto riconoscibile in città.

 

 

 

 

 

La forma diamantata

 

 

Già dagli anni Trenta Ponti è rivolto verso una semplificazione delle forme. Asciuga l’architettura, lascia fuori dal progetto qualsiasi elemento decorativo che non sia utile. Negli anni Cinquanta-Sessanta procede in quella direzione di ricerca di semplicità che ha introdotto abbastanza precocemente. Figli del razionalismo, gli architetti si occupano di progettare “dal cucchiaio alla città”, dall’oggetto molto piccolo alla grande dimensione urbana. Ponti disegna gli arredi e i dettagli d’arredo, dai mobili, librerie, sedie, appendiabiti, lampade alle maniglie, rubinetti, porte, posate, apparecchi sanitari. Il suo design degli oggetti di uso comune ha linee tanto moderne da apparire oggi contemporaneo. La forma diamantata ritorna costantemente nei progetti di Ponti, in pianta, in alzato e negli oggetti di arredo. La forma sfaccettata nelle sue diverse varianti rimanda alla sua massima “l’architettura è un cristallo” (titolo di una sua opera pubblicata nel 1945), brilla, è qualcosa che percepiamo in maniera diversa secondo come ci muoviamo intorno, ma soprattutto esprime l’idea che la “forma finita” come quella di un cristallo in natura è una garanzia di un’architettura corretta. Ponti segue quest’idea nei progetti di edifici ma anche di oggetti disegnando anche la carrozzeria per un’auto chiamata “Diamante”.

 

 

 

 

La casa-torre Rasini

 

 

 

 

Nel 1923 si sta ridisegnando una parte della città. La casa di proprietà dei Rasini, all’angolo di corso Venezia con i Bastioni di Porta Venezia, viene abbattuta e al suo posto viene edificato un edificio, completato nel giro di pochi anni, che porta la firma dello studio di Ponti ed Emilio Lancia, aperto nel 1927. Comprende due corpi molto diversi tra loro nei quali sono riconoscibili le mani degli architetti: la parte in cotto a torre porta maggiormente l’impronta di Lancia (fuorché nelle terrazze a gradoni degli ultimi piani, soluzione pontiana), mentre il corpo basso rivestito in marmo bianco, molto più semplificato ed essenziale dal punto di vista formale, quella di Ponti. Ponti, che sulle pagine di Domus aveva raccontato e rilanciato la casa all’italiana, mostra in questo edificio proprio quel sistema di terrazze a metà tra ambienti interni e l’esterno, in dialogo con i giardini pubblici.

 

 

 

 

 

Gio Ponti
Casa-torre Rasini

 

 

 

 

 

Il tema religioso e il rinnovamento della chiesa

 

 

 

 

Ponti era un architetto profondamente calato nel suo tempo e ciò emerge soprattutto negli importanti interventi di edilizia religiosa che realizza e per i quali è soprattutto riconosciuto. Nel 1956 lavora contemporaneamente alle chiese di S. Francesco d’Assisi al Fopponino, la sua più famosa, S. Maria Annunciata all’interno dell’Ospedale di S. Carlo, edificio bellissimo ma poco noto, e San Luca Evangelista. Sono gli anni nei quali Giovan Battista Montini, che diventa arcivescovo di Milano nel 1954 e nel 1963 papa con il nome di Paolo VI, aveva immaginato di poter rifondare la chiesa partendo dalle sue origini. Anche dal punto di vista progettuale con il fine di costituire nuovi presidi della fede in una città che stava rapidamente crescendo a seguito dell’industrializzazione e dell’espansione dovuta all’immigrazione. Montini ebbe a dire: “la religione quando è viva non solo non esclude la novità, ma la vuole, la esige, la ricerca, la sa ricavare nell’anima. Io sono qui a tendere le braccia a tutte le novità purché la novità non sia capriccio o frutto di ignoranza… Non è tempo di fare monumenti e mosaici costosi, è tempo di salvare con costruzioni semplici la fede del nostro popolo.” Nell’ambito di questo grandioso progetto sono circa 135 le chiese che vengono costruite nella diocesi di Milano delle quali 22 solo a Milano, soprattutto nelle zone periferiche.

 

 

 

 

La chiesa di San Luca Evangelista

 

 

 

 

In via Ampére al n. 75, la chiesa di San Luca Evangelista è poco conosciuta benché situata in prossimità del Politecnico di Milano. Giò Ponti la realizza nel 1956. La facciata della chiesa è leggermente arretrata in una via dove non c’era lo spazio per il sagrato. L’idea di uno spazio di accoglienza è dato dall’inclinazione della facciata, che rientra nella parte centrale dove Ponti inserisce un portone in legno con tagli diagonali e attorno una parte in vetro cemento che lo incornicia e crea all’interno un effetto di luce molto suggestivo. Ponti fa uso di piastrelline tridimensionali per creare nella monotona cromia grigio chiaro un effetto di luminosità che cambia secondo come il sole si muove e in una chiesa assume significati legati al tema religioso. La forma sfaccettata cara a Ponti si ritrova nel portale, nel profilo a capanna, nelle piastrelline e nella disposizione degli ingressi laterali vetrati. L’interno è maestoso. A pianta quasi quadrata, ha grande capienza (doveva accogliere 1500 persone) con appena un accenno alle navate delle chiese più antiche. I pilastri sono molto particolari e tipici di Ponti: ampi alla base, si vanno restringendo in alto. Riprendono l’idea di un volume solido che rimanda al diamante, costituiscono una sorta di scheletro che serve per proteggere e reggere la copertura. Tutti gli arredi lignei, dalle sedute ai confessionali, sono disegnati da Ponti. L’unica opera antica è il crocifisso rinascimentale collocato sull’altare.

 

 

 

 

 

Gio Ponti
La chiesa di S. Luca Evangelista

 

 

 

 

 

Gio Ponti
Confessionale di Gio Ponti come tutti gli arredi lignei della chiesa

 

 

 

 

 

 

Il grattacielo Pirelli

 

 

 

 

Nel 1956 Gio Ponti riceve l’incarico da parte del gruppo industriale Pirelli di realizzare una sede direzionale in posizione centrale rispetto agli stabilimenti di Bicocca, nella zona nord di Milano. Già nel 1960 l’edificio è pronto. Il grattacielo dialoga da una parte con la scuola elementare neo-romanica che Giovan Battista Pirelli, fondatore dell’azienda, aveva voluto negli anni Ottanta dell’Ottocento per i figli dei dipendenti. Dall’altro lato, su piazza Duca d’Aosta, dialoga con la stazione centrale, che doveva rimanere dominante nella gigantesca piazza. Completata nel 1931 in piena epoca fascista, ornata da fasci littori, aquile e altra iconografia di regime, la stazione centrale era stata progettata nel 1912 da Ulisse Stacchini come un inno alla modernità. Ponti lavora insieme a uno studio molto ramificato che comprende una serie di ingegneri tra i quali Pierluigi Nervi per la consulenza strutturale. Alla forma essenziale poligonale dell’edificio, che ricorda un diamante, corrisponde l’asciutta struttura portante in cemento armato. Il grattacielo Pirelli, noto come “Pirellone”, è un edificio memorabile per il 1960, dall’altezza sbalorditiva di 127 metri, all’epoca uno dei grattacieli più alti d’Europa. Dato che superava di una ventina di centimetri l’altezza della Madonnina del Duomo, infrangendo la tradizione che lo vietava, alla sommità del grattacielo venne posta una piccola replica dell’originale in segno di rispetto e protezione. Altre madonnine furono poi clonate su altri edifici milanesi. Considerato un capolavoro, il Pirellone compare in tutti i libri di storia dell’architettura come simbolo di una Milano che rinasce dopo la guerra puntando verso l’alto.

 

 

 

 

 

 

Gio Ponti
Il Pirellone

 

 

 

 

La visita in pratica

 

Il percorso descritto è stato ideato dall’architetto Elisabetta Gavazzi, fondatrice e responsabile di “Le Museanti”, che propone itinerari inediti e visite culturali a Milano. Guide selezionate con alte competenze in materia di arte, architettura, design, artigianato conducono piccoli gruppi a scoprire musei, chiese, gallerie d’arte, atelier di artisti, laboratori di artigiani, architetture e angoli poco noti della città. In questo caso, la guida e architetto Monica Torri.

Per informazioni e prenotazioni, Instagram, e.gavazziCHIOCCIOLAlemuseanti.it

https://www.linkedin.com/in/elisabetta-gavazzi-carissimo-812bb6123

 

 

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.