Avete tempo fino al 10 aprile per vedere la prima personale in Italia del fotografo, regista e scrittore francese Raymond Depardon dal titolo “La vita moderna”. L’esposizione segue Depardon nell’esplorazione di mondi e contesti molto diversi: dalle comunità rurali francesi alle periferie urbane di Glasgow, dalla vita nella New York degli anni Ottanta a quella quotidiana nella Francia del Duemila (2004-10). Conclude il percorso la serie dedicata alla vita negli ospedali psichiatrici italiani prima dell’adozione della Legge 180 nota come “Legge Basaglia” dal nome dello psichiatra triestino. Il legame che lega Depardon all’Italia è profondo. Presentata da Triennale Milano e Fondation Cartier l’esposizione ripercorre la carriera di uno dei fotografi e cineasti francesi più acclamati al mondo, celebre in Francia, molto conosciuto tra gli appassionati e gli addetti ai lavori, ma forse non altrettanto al grande pubblico.
La mostra
Sono in mostra trecento fotografie suddivise in otto serie, due film e molti degli oltre sessanta libri di Depardon pubblicati. Visi e paesaggi, città e campagna, colori e bianco e nero rivelano la diversità dei soggetti e la ricchezza dell’opera del fotografo francese. Ideata da Depardon per Triennale Milano, la mostra è stata concepita con la partecipazione dell’artista Jean-Michel Alberola, che ha collocato ogni serie fotografica in una sala caratterizzata da un colore e da una particolare disposizione delle immagini. Come la serie Errance che, su un muro grigio chiaro, mostra le immagini di strade polverose, passaggi, rotaie e luoghi non localizzabili del periodo errante. Su sfondo blu le fotografie scozzesi, su giallo la serie dedicata agli ospedali psichiatrici italiani.
Raymond Depardon, Errance
Prove di vita di Raymond Depardon
Nato come fotoreporter per le migliori agenzie francesi e non solo, ha fondato la Gamma ed è poi entrato nella Magnum, una delle più importanti agenzie fotografiche del mondo. Il suo amore per le persone, lo sguardo aperto alla diversità, la curiosità ancora oggi lo inducono a spostarsi ovunque con una fotocamera addosso. “Negli anni Settanta ho assistito a un rapimento” – ha raccontato Depardon – “e mi è stato chiesto di riprendere l’ostaggio con la telecamera per dare prova che fosse ancora vivo. Questa richiesta mi ha sconvolto e ho cominciato a pormi delle domande: c’era un’enorme responsabilità nel mio ruolo, anche a nome di tutti i compagni fotoreporter persi nelle guerre e negli anni, e ho cominciato a vederlo sempre di più lavorando con coloro che la storia non interpellava: i malati mentali in Italia, i contadini in Francia, gli operai a Glasgow. Non sono solo fotografie…Nella mia vita, nella mia carriera ho cercato queste “prove di vita” che sono il significato e lo scopo stesso della fotografia.
La France
Nelle coloratissime fotografie disposte su una parete rosa della serie La France, che Depardon dedica al suo Paese, è “lo spazio pubblico” a emergere, il vissuto quotidiano delle piazze, dei bar, degli uffici postali. Il fotografo ha voluto fotografare la Francia, con una macchina fotografica 20 x 25, frontalmente e a colori. Ne emerge un ritratto della Francia contemporanea.
Raymond Depardon, La France
Raymond Depardon, La France
Le comunità rurali francesi
Un’altra Francia è ritratta nella serie Rural per la quale l’artista ha percorso le campagne, incontrato i contadini, raccontato la terra. Depardon ha ritrovato quel mondo rurale che era stato uno dei suoi primi soggetti quando aveva iniziato a scattare fotografie nella fattoria di famiglia all’età di dodici anni “Sono nato in una fattoria” – dice – “Ho fotografato i contadini, le paysans” E aggiunge: “Non si entra in una fattoria senza appuntamento”.
Le periferie urbane di Glasgow
I bambini, i senzatetto, i minatori scozzesi, nella serie Glasgow sullo sfondo blu sono scatti eccezionali per chi considerava Glasgow “agli antipodi” della propria fotografia, come ebbe a dire Depardon. I palloncini rosa delle gomme da masticare dei ragazzini di strada sono il colore in una città quasi monocroma. Sono le prime fotografie a colori dell’artista.


I malati di mente nei manicomi italiani
Di forte impatto la serie intitolata San Clemente che conclude l’esposizione. Nasce dopo l’incontro di Depardon con lo psichiatra triestino Franco Basaglia, che per il fotografo francese fu determinante. Racconta: “avevo letto un articolo sugli esperimenti in Italia nella psichiatria… A Trieste ho incontrato una persona formidabile, Basaglia, non osavo fare foto ai malati, ma lui mi ha detto queste foto le puoi fare solo qui, non puoi farle in Francia. Ho pensato che il pubblico francese doveva conoscere quest’esperienza formidabile su questa gente rinchiusa…” Basaglia, che portò l’Italia primo paese al mondo a chiudere gli ospedali psichiatrici e abbattere la segregazione dei malati di mente, incoraggiò Depardon a fotografare la vita nei “manicomi” di Trieste, Napoli, Arezzo e Venezia prima dell’adozione della Legge che porta il suo nome. Cancelli, inferriate, catene, lucchetti, porte e finestre sempre chiuse, serrature ovunque. Depardon sentiva la macchina fotografia somigliare “più a una pistola che a una fotocamera”, ma scattava. Ne è risultata una serie fotografica (e un film) molto intensa.





La vita a New York negli anni Ottanta
Le fotografie della serie Manhattan Out (1980) sono scattate attraversando la città senza mai scegliere l’inquadratura, ma lasciando che la Leica appesa al collo scegliesse al suo posto. La città gli appare “troppo forte”, impossibile da filmare.

La mostra in pratica
Triennale Museo del Design Italiano
Fino al 10 aprile
Per le visite guidate, prenotare su visiteguidate@triennale.org