L'amico italiano

Romanzo d’esordio di Gianluca Donvito, L’amico italiano è una storia sincera che dice molto dell’autore. A lungo copywriter nell’epoca d’oro della pubblicità in Italia, fa volontariato da molti anni, ha insegnato italiano agli stranieri, è sposato con una donna ugandese con la quale ha quattro figli. Il protagonista del romanzo è Giorgio, il suo amico del cuore Ugo, “due nature che hanno in comune il capriccio di non volersi uniformare.” Giorgio, giovane chef prossimo alle nozze decide in modo improvviso di compiere una scelta estrema. Lascia l’Italia, la fidanzata, i genitori, il lavoro e Ugo per andare a combattere come volontario a fianco dei curdi contro l’Isis i cui attentati stanno insanguinando l’Europa. Una bella lettura, antidoto al cinismo.

 

 

 

Il popolo curdo

 

 

I curdi, che abitano le regioni dell’antica Mesopotamia, sono un popolo di circa 35 milioni di persone senza patria. Più volte è stato loro promesso uno Stato (dal 1920 con il trattato di Sevres), ma la promessa è sempre stata disattesa. I curdi vivono oggi tra Turchia, dove la repressione è particolarmente violenta, Irak, Iran e Siria oltre che in Armenia e in Europa, soprattutto in Germania. I curdi iracheni abitano da tempo una loro regione autonoma all’interno dell’Iraq (il Kurdistan iracheno). I curdi siriani hanno acquisito una certa autonomia nella regione che abitano, il Rojava (o Kurdistan siriano), ma le forze militari turche non hanno interrotto la repressione, i crimini contro i civili, la pulizia etnica.

 

 

 

 

I curdi nel romanzo

 

 

Giorgio prova “una forte simpatia per le milizie curde – un popolo senza stato, dimenticato da tutti, che vedeva come l’incarnazione di tutte le ingiustizie di questo mondo”. In Siria, Giorgio ascolta il capitano che dice: “noi curdi abbiamo subito la repressione da molti paesi, ma una cosa è combattere contro un nemico in carne e ossa, un’altra è lottare contro una forma di pensiero che nega chi sei, la tua identità: ‘voi non esistete’ – ci hanno detto. Riuscite a immaginare cosa vuol dire non poter parlare apertamente la propria lingua? Ai loro occhi non eravamo nemmeno curdi ma ‘turchi delle montagne’ e se ci ostiniamo a riconoscerci come curdi, siamo fuori legge. Un caro amico è stato condannato al carcere per essersi definito curdo in pubblico.” Il capitano racconta la perdita dei suoi familiari: “Era il 1981 quando Saddam decise che era giunto il momento di occuparsi di noi: in 7 minuti di bombardamenti ci furono quasi 10.000 morti nei nostri villaggi sulle montagne del Kurdistan, dove stavamo a quel tempo. Tre erano i miei figli. Sui giornali non se ne parlò che qualche giorno.”

 

 

 

L’intervista

 

 

Lei è stato per anni copywriter: com’è arrivato a scrivere il romanzo L’amico italiano?

 

 

Mi trovavo a leggere più che per il piacere della lettura per studiare la struttura della frase, la mia era una lettura critica. Sentivo che dovevo scrivere quello che avevo dentro da tanto e durante il lockdown ho avuto molto tempo a disposizione. Ho scoperto la vicenda di Lorenzo Orsetti (il cui video-testamento è sulla pagina FB dell’autore, ndr), morto in Siria combattendo con i curdi contro l’Isis. Ho trasfigurato l’accaduto nella fantasia. Mi sono inventato una persona che, colpita al cuore dalle stragi dei terroristi in Europa, cerca un’occasione per dare un senso alla propria vita combattendo per una causa giusta. Così ha iniziato a prendere forma la storia.

 

 

 

La seconda parte de L’amico italiano è ambientato nella Siria del Nord. Gli avvenimenti di attualità sono sullo sfondo, ma lei mostra empatia per la causa curda. Com’è nato il suo interesse per il popolo curdo?

 

 

Avevo in testa la causa curda. Stavo già scrivendo quando sono stato a un incontro di un’associazione del Rojaba, tenuto da donne, che raccontavano l’esperienza innovativa di quell’area della Siria in mano ai curdi. La gestione del territorio, l’attenzione all’ecologia, una Costituzione di stampo democratico, la partecipazione delle donne alle istituzioni sono elementi innovativi, tanto più in quell’area del mondo.

 

 

 

Attaccati dalla Turchia e abbandonati dagli Stati Uniti dopo che hanno combattuto l’Isis al loro fianco, i curdi siriani si sentono traditi. Quali azioni pensa che dovrebbero intraprendere le istituzioni europee per non abbandonarli alla repressione di cui sono vittime?

 

 

 

Si deve arrivare al riconoscimento ufficiale di quella regione del nord e nord-est della Siria chiamata Rojaba (o Kurdistan siriano). Si tratta di territori curdi, che erano stati occupati dall’Isis e poi riconquistati, che godono di una certa autonomia e sono tollerati, ma non riconosciuti ufficialmente dal governo siriano. Che venga invece riconosciuto uno Stato al popolo curdo è per il momento un miraggio.

 

 

 

Lei sembra immedesimarsi sia in Giorgio, il combattente-cuoco, sia in Ugo, l’educatore di bambini di mondi lontani, entrambi un po’ fuori dagli schemi. Quanto c’è di autobiografico nel suo romanzo e nei singoli personaggi?

 

 

C’è molto di autobiografico ne L’amico italiano. Io ho insegnato per anni italiano agli stranieri e recentemente ho fatto cantare l’Inno d’Italia ai compagni di classe di una delle mie figlie. Il mio sogno è quello di una cittadinanza attiva e pienamente riconosciuta. I bambini figli di stranieri sono coloro che sento più vulnerabili, ma con tante potenzialità, germi di contaminazione tra le culture di provenienza e la cultura italiana.

 

 

 

Il protagonista Giorgio lascia la sua vita e parte. Quanto fascino esercita su di lei il fatto di cambiare vita?

 

 

L’ho fatto una volta in maniera blanda, è affascinante. Parecchi anni fa ho preso un’aspettativa e sono andato in India per seguire una ragazza. L’India è un mondo, con tantissime etnie, tantissima ricchezza culturale, il sanscrito, i Veda (la più antica raccolta di testi religiosi in lingua sanscrita, ndr).

 

 

 

Giorgio in Siria del Nord prende coscienza del fatto che le armi non sono per lui e il suo contributo alla causa curda può darlo da dietro i fornelli. Ci sono molti modi per sostenere una battaglia in cui si crede. Lei fa volontariato di prossimità accompagnato dai bambini: come ha iniziato e come vive quest’esperienza?

 

 

Faccio volontariato da tanti anni, ora con i miei bambini e con figli di amici. È un’esperienza bella, molto impegnativa perché ci metto la faccia. Andiamo sempre nella stessa zona per diventare un punto di riferimento per quelle persone senza fissa dimora. Siamo riusciti a mandarne due in dormitorio, cosa non facile oggi con il Covid che ha tagliato i posti letto. Cerchiamo di fare rete, conosciamo le strutture del Comune. Faccio parte dell’Associazione Sathya Sai Italia, che fa riferimento agli insegnamenti del maestro indiano dal quale prende nome, che ho conosciuto in India.

 

 

 

 

L'amico italiano
La famiglia

 

 

 

 

Sua moglie è ugandese: com’è avvenuto l’incontro?

 

 

Ho conosciuto mia moglie Brenda quando insegnavo italiano agli stranieri. Era arrivata in Italia da pochi mesi e tutto era molto diverso per lei, un altro mondo. Già prendere l’aereo è un salto nel buio, o nella luce già che gli ugandesi hanno grande fede in Dio. Parlano un ottimo inglese e questo aiuta.

 

 

 

Com’è stata la sua prima visita in Uganda?

 

 

Siamo andati in Uganda appena è nata la nostra primogenita Edda per riprendere la figlia di Brenda che era rimasta lì. Non eravamo sposati e quindi non è stato facile. Ho trovato una grande ospitalità e tanta gratitudine. Dicevano: grazie per essere venuti a visitare il nostro Paese. C’è uno spirito comunitario molto forte, ci sono chiese dove si passa molto tempo insieme, si mangia tutti insieme. In realtà, la tradizione di condivisione è ovunque: se arriva in casa un ospite, ognuno offre qualcosa dal proprio piatto e si crea il piatto per l’ospite.

 

 

 

L'amico italiano

 

 

 

Hanno appena ucciso l’ambasciatore italiano Attanasio in Congo. Si parla di lui come di un uomo innamorato dell’Africa, un difensore dei popoli africani e della pace, sposato con una donna marocchina. Lei che conosce un po’ l’Africa subsahariana, cosa ne pensa?

 

 

Non sono un esperto del Congo, ma si sa che sono zone ambitissime per le ricchezze del territorio, soprattutto minerarie. Sicuramente il rapimento è una delle forme con cui la criminalità cerca di sostenersi. Questa morte è un grande dispiacere, se ne vanno i migliori.

 

 

Nell’Africa subsahariana vive oggi oltre un miliardo di persone, che raddoppierà nel 2050 rappresentando allora poco meno del 25 per cento della popolazione mondiale. Che evoluzione crede possa avere quell’area del pianeta in rapporto al mondo occidentale?

 

Mi auguro che non seguano il modello occidentale, che non vadano tutti a vivere in città, ma rimangano nei villaggi. La loro realtà non è la città, ma il villaggio con la cultura del villaggio. Gandhi diceva: “se il villaggio muore, muore l’India.” Direi che vale anche per l’Africa. Spero che l’Africa rimanga Africa e non la brutta copia dell’Occidente. Abbiamo tanti amici che sognano di tornare in Uganda e cercano di scoraggiare coloro che vogliono partire, ma non riescono, il sogno permane e chi ce la fa aiuta poi un po’ i familiari. Si creano ponti e legami. Mia moglie Brenda ha portato avanti iniziative molto belle, favorendo per esempio un legame tra una classe scolastica italiana e una ugandese. Io ho sposato anche un po’ l’Africa.

 

 

Il libro

 

Il libro L’amico italiano, uscito nel settembre 2020 promosso da Bookabook, è ora in cerca di un nuovo approdo editoriale. Per informazioni rivolgersi all’autore https://www.facebook.com/gianluca.donvito.7 o https://www.instagram.com/lamicoitaliano__/

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'amico italiano
La famiglia

 

2 pensiero su “Il popolo curdo e L’amico italiano”
  1. Intervista interessantissima, completa, perfetta. Descrive bene l’autore, il suo pensiero, la sua vita e spinge alla lettura del libro, che penso sia un ottimo romanzo-documento. Mi stupisco che non abbia
    trovato un editore.

    1. Grazie per il commento. Gianluca Donvito è una bella persona, aperta agli altri e al mondo. Ci tenevo a farlo emergere.

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