Al milanese Pontificio Istituto Missioni Estere (P.I.M.E. www.pimemilano.com) il 24 novembre si è tenuto un interessantissimo convegno dal titolo “Dove va l’Africa? Sfide, migrazioni, narrazioni” che ha fatto luce su quelle che sono la percezione e la realtà del mondo africano, e il grave divario che le separa, grazie a eccellenti interventi di relatori che in Africa hanno trascorso lunghi anni di lavoro sul campo.

Questo fattore di primaria importanza e garanzia, oltre all’approfondimento e all’alto livello dei contributi, ha reso il convegno un evento speciale e unico nel panorama di grave disinformazione sul continente africano che predomina in Italia se si escludono gli ambiti degli addetti ai lavori. Per questi motivi riporto alcune delle più significative considerazioni emerse negli interventi del convegno. Inquadrare il “continente giovane” permette di comprendere qualcosa di essenziale sul futuro non solo dell’Africa, ma anche dell’Europa.

 

Africa territorio e popolazione

Mario Raffaelli, presidente dell’Amref (www.amref.it ) ed ex vice-ministro degli Affari Esteri e Cooperazione internazionale, in Africa ha maturato in 35 anni grande e diversificata esperienza. Raffaelli ha parlato del Quadro geopolitico e delle sfide della cooperazione a partire da un’essenziale, quanto trascurata verità: non di Africa, ma di Afriche si può parlare e non solo rispetto alla classica divisione tra Africa mediterranea e Africa sub-sahariana, ma anche in termini di significative differenze all’interno di quest’ultima.

In Africa, un territorio immenso di oltre 30 milioni di chilometri quadrati con 1 miliardo e 200 milioni di abitanti distribuiti in 54 Stati, “negli ultimi 15 anni c’è stata una diminuzione drastica della mortalità infantile e l’età media si è allungata di 10 anni” – ha proseguito Raffaelli, aggiungendo che l’Africa è l’unica zona al mondo che avrà un’esplosione demografica nei prossimi cinquant’anni, in controtendenza rispetto agli altri continenti raggiungendo, secondo le stime attuali, 2,5 miliardi di abitanti nel 2050.

 

Africa sviluppo e investimenti

Raffaelli ha evidenziato che dell’Africa si parla poco e male, in maniera superficiale e schematica e che anche la storia dell’Africa è pochissimo conosciuta, ritenendo fondamentale acquisire “una conoscenza reale delle tematiche e dei problemi dei diversi territori del continente più antico del mondo, che ha sofferto di una storia sempre interrotta e non ha mai avuto la possibilità di sviluppare un proprio sistema politico ed economico, avendo avuto una decolonizzazione post bellica improvvisata.”

Raffaelli ritiene che la speranza per il futuro africano sia data oggi da due fattori: “l’evoluzione politica, che c’è stata e può andare avanti, e l’evoluzione sociale, legata in particolare all’educazione, specialmente a livello di scuola primaria. Altri fattori essenziali per lo sviluppo africano sono gli investimenti dall’estero, cresciuti molto negli ultimi anni, e le fondamentali rimesse degli emigrati, che sono i primi finanziatori dello sviluppo africano”.

 

Africa il mercato interno

Se finora lo scambio commerciale interno all’Africa è stato molto inferiore rispetto a quello tra l’Africa e l’Europa, “è necessario che quell’embrione di mercato interno, che esiste, cresca e faccia un salto di qualità a partire da dinamiche regionali, che devono essere garantite da condizioni giuridiche e istituzionali finora gravemente carenti, per divenire via via un mercato continentale” – sostiene il presidente dell’Amref, che aggiunge: “si tratta di un processo lento, ma fondamentale, la chiave del vero salto di qualità per il futuro dell’Africa.

 

Africa

 

Lo sviluppo dell’Africa

Raffaelli parla del tramonto nel 2011 del cosiddetto “miracolo africano”, trainato dai Paesi ricchi di petrolio e gas, e della crescita attuale dei Paesi che hanno cominciato a diversificare la propria economia riducendo la dipendenza dall’esportazione di materie prime e puntando sullo sviluppo dei settori agricolo ed energetico, in particolare delle energie alternative, in primis il solare. Anche in ambito tecnologico si mostra una nuova dinamica e indicativa è la diffusione dei cellulari, “che in Africa non sono un lusso, ma uno strumento di sviluppo economico”. E ancora: “oggi la classe media africana ammonta a circa 300-350 milioni di persone, il cui reddito va dai 100 ai 600 dollari al mese, significativo pur se ovviamente non paragonabile a quello della classe media europea.”

 

La Cina in Africa

“La Cina ha portato avanti un progetto organizzato e sistematico di penetrazione nel continente (con tanto di Forum economico Cina-Africa, alla terza edizione nel 2018) a livello commerciale, economico, finanziario” – prosegue Raffaelli – “e si è guadagnata un importante vantaggio strategico investendo molto denaro e costruendo grandi infrastrutture.” Inoltre, grazie a un programma di immigrazione controllata di cinesi che aprono attività commerciali, la Cina ha allargato la propria influenza attraverso la presenza di 1 milione e mezzo di cinesi residenti. “Il problema fondamentale legato all’iniziativa cinese” – spiega Raffaelli – “è riconducibile alla mancanza di trasparenza nel riconoscimento dei diritti civili e nel promuovere uno sviluppo concentrato sull’apertura di un mercato cinese in Africa piuttosto che sulla costruzione di un mercato africano.”

 

L’Europa in Africa

“L’Europa ha tutto l’interesse nel pacificare e rendere maggiormente stabile l’area” – sostiene Raffaelli, che aggiunge: “inutile parlare di sviluppo dove non vi sono stabilità e pace. Non si tratta solo di solidarietà, ma anche del nostro interesse o perlomeno di quello dei nostri figli e nipoti: per rendere più sereno il futuro del continente europeo è necessario promuovere uno sviluppo equilibrato dell’Africa, gestito in modo paritario e concordato, con l’obiettivo di incentivare la nascita di un mercato interno africano, incrementando la fiducia degli investitori privati grazie alla stabilizzazione politica e il progresso sociale.

 

 

Il boom demografico in Africa

Giovanni Putoto, medico che ha trascorso 11 anni in Africa, responsabile della ricerca e programmazione di Cuamm Medici con l’Africa (https://www.mediciconlafrica.org/), ha parlato di Demografia e sanità offrendo alcune suggestioni su un tema vastissimo. “Il fattore fondamentale da cui partire” – afferma – “è quello demografico dato il ruolo crescente dell’Africa, la cui popolazione sarà nel 2050 il 25 per cento della popolazione mondiale e nel 2100 il 48-49 per cento.”

Non solo. Oggi la popolazione africana ha un’età media di 19.5 anni (quella italiana è di 44.5 anni) e la spinta demografica è altissima. “Un luogo comune da smontare è che gli africani non abbiano il senso del controllo delle nascite, queste sono cose da bar” – afferma Putoto la cui lunga esperienza sul campo fornisce altre prospettive. “In condizioni di altissima precarietà la scelta di avere molti figli è fatta per tutelarsi da probabili perdite, è un investimento.” Un altro pregiudizio secondo Putoto riguarda l’immigrazione: “La migrazione africana è all’80-85 per cento interna all’Africa, in Europa arriva solo il 2 per cento degli africani in fuga.

 

Il diritto alla salute in Africa

Il principale problema sanitario africano è la disuguaglianza nell’accesso ai servizi materno-infantili, con il momento del parto che, per barriere culturali, geografiche ed economiche, crea le maggiori disuguaglianze sociali e gravi conseguenze sanitarie ed economiche provocando l’impoverimento di milioni e milioni di persone a causa delle spese sanitarie. Afferma Putoto: “investire in salute materno infantile non è solo giusto, conviene, in quanto porta alla diminuzione della fertilità e delle gravidanze precoci, al miglioramento cognitivo e scolastico dei bambini, a una maggiore stabilità sociale e equità.” Rafforzare il sistema sanitario locale e puntare alla formazione di base e superiore sono tra gli obiettivi di Cuamm Medici con l’Africa. “La salute in Africa è a pagamento” – conclude Putoto – “ma se l’Africa vuole progredire, deve sviluppare un sistema di welfare.”

 

L’Africa come opportunità

Mario Molteni, ordinario di Economia aziendale all’Università Cattolica di Milano e A.D. di “E4Impact Foundation”, parla dell’Africa come opportunità e sostiene che il ruolo dell’Italia può essere molto più forte. I numeri che fornisce sono interessanti: in Africa, 29 milioni di giovani entrano nel mercato del lavoro ogni anno, ma il 70 per cento non trova lavoro e va nell’informale. I servizi di base sono molto indietro: solo il 54 per cento del territorio ha strade asfaltate, il 65 per cento della popolazione ha accesso all’elettricità, il 63 per cento all’acqua potabile, ma ben il 93 per cento ha una linea telefonica e questo importante cambiamento può aprire scenari di speranza.

 

Le risorse dell’Africa

Continua Molteni: “l’Africa ha oltre il 60 per cento della terra arabile non utilizzata al mondo e dispone del 30 per cento dei minerali del pianeta, delle più grandi riserve di metalli preziosi con il 40 per cento dell’oro, il 90 per cento del platino, il 60 per cento del cobalto oltre ad avere riserve di petrolio e gas maggiori di quelle degli Stati Uniti. Ha inoltre un enorme potenziale di fonti rinnovabili, solare ed eolico in particolare. Nell’economia africana le rimesse degli emigrati superano gli aiuti dei Paesi occidentali.”

 

I margini di miglioramento per l’Africa sono straordinari anche se non mancano i problemi tra i quali Molteni evidenzia il fatto che il continente importi ancora enormi quantità di cibo, per un valore di 35 miliardi di dollari all’anno (soffrendo della meccanizzazione agricola ridotta e dell’età media di 60 anni dei contadini), che il tasso di imprenditorialità africana sia il più alto al mondo (ricerca OCSE), ma che si tratti di un’imprenditorialità di sussistenza, che l’accesso al credito a tassi del 25-30% crei enormi difficoltà, che manchino programmi di formazione qualificanti e lauree STEM (Science Technology Engineering Math) mentre il 50 per cento dei laureati annuali non trova lavoro, che la disoccupazione giovanile sia al 12 per cento, ma oltre il 70 per cento dei lavoratori sia un working poor, che guadagna meno di 2 dollari al giorno.

 

L’Italia in Africa

Molteni è convinto che il ruolo dell’Italia in Africa possa crescere molto partendo da alcuni elementi positivi quali la prossimità geografica, la complementarietà economica e demografica, la valorizzazione della diaspora. Elementi negativi sono il fatto che, nonostante la prossimità geografica i container diretti in Africa da Milano passano per Rotterdam e i voli aerei da Amsterdam ed è difficile viaggiare legalmente per imprenditori e docenti. Inoltre, l’export verso l’Africa è solo del 4,2 per cento e l’import del 4,6 per cento. Tra i Paesi che commerciano con l’Africa il primo è la Cina, il secondo l’India, mentre l’Italia è al settimo posto dopo la Spagna. L’Africa ha necessità di infrastrutture fisiche e digitali e di diversificazione economica. Anche le piccole medie imprese italiane possono essere un valido modello per l’Africa. Ci sono grandi sbocchi, conclude Molteni.

 

L’Africa nei media

Padre Gabriele Beltrami, responsabile della comunicazione dei missionari scalabriniani, evidenzia quanto stabilisce la Carta di Roma, che tutela i richiedenti asilo, i rifugiati, le vittime di tratta e i migranti e distingue le buone dalle cattive pratiche nella narrazione sull’Africa. Tra le buone pratiche sono: far parlare esperti e protagonisti, approfondire, proporre racconti alternativi, prestare attenzione alla terminologia per salvaguardare la tutela dell’identità, la correttezza e la completezza.

Tra le cattive pratiche: l’imprecisione e la decontestualizzazione, l’uso di toni emergenziali e dell’Hate speech, linguaggio che sollecita la pancia delle persone e non fa ragionare, la narrazione costruttiva della paura che addita “i nemici alle porte”. Padre Beltrami specifica che i riferimenti ai migranti nei media sono aumentati in modo esponenziale nell’ultima decina di anni e gli italiani pensano che gli immigrati siano tre volte di più di quanti sono in realtà e precisa che i migranti sono più che altro interni all’Africa dove l’Africa sub-sahariana ospita il maggior numero di rifugiati e profughi, che migrano verso Sud Africa, Costa d’Avorio, Uganda, Nigeria ed Etiopia. Beltrami evidenzia che nei deserti muoiono circa il doppio di migranti che nel Mediterraneo e che si mettono in viaggio a causa di guerre e persecuzioni politiche, fame, siccità e anche mancanza di lavoro come facevano i nostri avi all’inizio del Novecento.

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