“…più indicibili di tutto sono le opere d’arte, misteriose esistenze…” Rainer Maria Rilke, “Lettere a un giovane poeta”
L’arte è inclusiva, tutti possono amarla. L’arte parla al lato destro del cervello e chiede un coinvolgimento emotivo, altrimenti è altro. Non è necessario “capirla”, specialmente l’arte contemporanea. Certo, ci sarà chi ha una maggiore o minore preparazione culturale, ma “capire” l’arte è per me un concetto fuorviante. Bella, brutta, forte, disturbante, esaltante, spiazzante, provocatoria, ironica, indecifrabile: è arte tutto quello che risponde a un bisogno interiore (dell’artista), dove forma e sostanza si uniscono a dare emozione (allo spettatore). Si possono fornire delle chiavi di lettura di un’opera, non “spiegarla”: l’interpretazione è solo vostra.

Prospettive sull’arte
Di cosa scrivo dunque? Vi propongo prospettive sull’arte, spunti, tracce, un modus vedendi il più possibile ampio, interdisciplinare, aperto, fluido, versatile, discutibile, non definitivo. Non sono un critico d’arte, la mia formazione è filosofica, la mia specializzazione in Estetica (facoltà di Filosofia all’Università Statale di Milano).
L’arte è tutto quello che gli uomini chiamano arte, scriveva il mio professore, Dino Formaggio, nel suo libro “Arte”. Mi piace ricordare con questa citazione il pensatore illuminato, aperto e vitalissimo, che mi incoraggiò a svolgere la mia personale ricerca sulla simbologia dell’arte azteca, pur non conoscendola. Mi affidò al suo bravissimo assistente, Elio Franzini, poi professore ordinario di Estetica nella stessa facoltà universitaria, oggi rettore della Statale. Fu l’inizio di un grande viaggio, nell’arte, nel pensiero e nel paese latinoamericano più surreale, il Messico.


In evidenza
Metterò in evidenza, dove sarà il caso, quello che a mio modo di vedere rende quella mostra, quello spettacolo, quel film, quel libro unico, straordinario (Il plus) oppure, al contrario, discutibile (Non vale la visita). In un’epoca dove all’arte vengono spesso affiancati dei supporti tecnologici ritengo che, se questi sono utilizzati per ampliare la prospettiva, possono risultare validi, se invece prendono il posto delle opere, deprivano del diritto di ciascuno di emozionarsi davanti all’arte. Per spiegarmi, faccio due esempi, di segno opposto, entrambi al MUDEC Museo delle Culture di Milano.
Il plus
In occasione della bella mostra “Egitto. La straordinaria scoperta del faraone Amenofi II“, aperta fino al 7 gennaio 2018, una chicca collaterale è, al pianterreno, l’opera video Egypt Room con le bellissime immagini dei Prospekt Photographers, che dialogano tra loro su tre grandi schermi attraverso storie, parole e suoni.
Si colloca nell’ambito del progetto “Milano Città Mondo”, mirato a documentare, grazie a focus su diversi gruppi, la complessità di una città sempre più internazionale: è un approfondimento sulla storia dei rapporti tra Italia e Egitto, che esplora un secolo di convivenza tra italiani ed egiziani partendo da una seconda generazione nata al Cairo nel 1925 per arrivare a una generazione nata a Milano nel 1995. Un’opera d’arte in sé, che arricchisce l’esposizione: peccato solo che sia poco vista e non sufficientemente comunicata.

Non vale la visita
Per quasi sei mesi, dal 26 luglio 2017 al 7 gennaio 2018, la Klimt Experience: in una grande sala scorrono 700 immagini delle opere e della Vienna di Gustav Klimt, accompagnate da brani di musica classica. Questo è tutto. Sono di supporto alla comprensione dell’opera dell’artista? Assolutamente no. Sono un’opera in sé? Nemmeno. Sono di qualche interesse? Neanche. “Un racconto senza parole”, è stato scritto. Un riempitivo, direi, sia pure in alta definizione, che lascia senza parole anche per il prezzo esorbitante di 12 euro per il biglietto d’ingresso.