
Il più delle volte definirei la mia professione come quella di un traduttore. Traduttore non da una lingua a un’altra, ma da una cultura a un’altra. Ryszard Kapuscinski, “Autoritratto di un reporter”
Traduttore culturale: ecco una definizione del ruolo di reporter che condivido. E con il giornalista polacco Kapuscinski concordo anche sul fatto che “…in questo mestiere bisogna essere fortemente specializzati.” Realizzare un reportage di viaggio significa per me immergersi in un cultura, tra la gente, nel cibo, l’arte, la musica, le feste, le particolarità, le stranezze di un popolo. E questo è l’unico modo che concepisco per conoscere una specifica porzione del mondo. Con umiltà, curiosità e attenzione. Credo fortemente nella specializzazione su aree geografiche determinate, l’unica via che consente l’approfondimento.

Le mie aree di specializzazione
La lingua è una chiave di avvicinamento culturale importante. Per questo e per le circostanze della vita mi sono ritrovata a specializzarmi nei miei reportage di viaggio sulle culture di cui conosco la lingua: il continente americano di lingua inglese e francese dal Canada agli Stati Uniti ai Caraibi, i paesi latinoamericani che parlano lo spagnolo d’America, in particolare Messico, Guatemala, Cuba, Ecuador, Cile, il Brasile con il suo musicalissimo portoghese, quindi l’Europa – con puntate nel Nord Africa francofono – e l’Australia.
Se scrivo di tali aree del mondo, ne conosco la mentalità, differenziata tra paesi, il senso dell’umorismo, i valori, le buone maniere e mille particolarità che si scoprono solo con una reiterata frequentazione dei luoghi. Se dovessi scrivere dell’Asia o dell’Africa subsahariana, avrei necessità di valide guide culturali e di anni di approfondimento. Tutto il mondo mi interessa e mi incuriosisce, ma professionalmente ho fatto una scelta, specializzandomi.

Le belle differenze del mondo
Il mio modo di girare e di presentare il mondo è a 360 gradi, non da tuttologa, al contrario, mai superficiale, ma da una prospettiva più ampia, diversificata, fluida possibile perché il mondo, che non è mai uguale, lo richiede. Per far parlare le culture, faccio parlare le persone. Il mio stile di intervista è culturale (non credevo ne esistesse un altro, ma ho capito che non è sempre così), con un’inquadratura allargata, sia essa a scrittori, artisti, intellettuali, registi, architetti, chef, rappresentanti istituzionali o all’uomo della strada. Le interviste completano nei miei reportage di viaggio quello che la mia esperienza personale non esaurisce.
Propongo spesso un taglio per un viaggio: per famiglie con bambini, per un genitore e un teenager, per una coppia in gita romantica, per chi viaggia con il cane, per gli under e gli over secondo quello che il territorio propone, in base alle stagioni, all’offerta culturale, enogastronomica, naturalistica, artistica. Qualche esempio? Andare a Venezia con i bambini (o anche senza) in primavera è una follia: il sovraffollamento rovina il piacere. Pensare di battere a tappeto i musei di Londra con un adolescente è puro nonsense. Invece, vivere il Natale a Copenaghen con i piccoli è affascinante e l’atmosfera così natalizia che di più è difficile trovare.


Viaggiare oltre i luoghi comuni
Spesso nei viaggi organizzati si propongono brandelli di Paesi, pochi chilometri quadrati supervisitati. Questo per me è turismo insostenibile. Un esempio? Il Messico, che conosco a fondo, è spesso ridotto allo Yucatan, anzi, a quella infinitesima porzione di quella meravigliosa terra che sono Cancùn e il Corredor Turistico, oltre ai siti archeologici di Tulum e Chichén Itza, bellissimi ma talmente frequentati da essere purtroppo infrequentabili. Questo non è il Messico, anzi non è nemmeno lo Yucatàn. Vi condurrò in altri luoghi nei miei reportage, anche della stessa penisola yucateca, perchè viaggiare oltre i luoghi comuni si può e non solo in senso metaforico.



Viaggiatori indipendenti
Non esiste per me altro viaggio che quello sostenibile dove il rispetto per i luoghi, le persone, le culture è intrinseco al concetto di viaggio. Viaggio in maniera indipendente da quando avevo quattordici anni grazie all’opportunità che mi ha offerto un’organizzazione giovanile affiliata all’Unesco che, per promuovere la pace e la tolleranza tra i popoli, fa viaggiare i ragazzi affinché possano crescere senza barriere culturali e coltivare amicizie in tutto il mondo. Così ho iniziato a viaggiare.
Concludo con Kapuscinski (“Autoritratto di un reporter”): Il viaggiatore rinuncia a una rappresentazione unica del mondo. In barba alla globalizzazione, difendiamo le differenze.
