Il nuovo percorso permanente del MUDEC Museo delle Culture è ambizioso e anche coraggioso (nel processo di museologica partecipata). Milano globale. Il mondo visto da qui si articola in cinque sezioni nelle quali sono esposti circa cinquecento oggetti provenienti dalle collezioni del Museo e da altre istituzioni. Si passa dall’America Latina all’Asia fino all’Africa per ritornare in Europa. Il percorso ha anche un andamento cronologico e muove dal Cinquecento, quando il ducato di Milano entra nella sfera d’influenza dell’impero spagnolo e quindi nella scena internazionale, fino all’epoca contemporanea. Che cos’è quella che chiamiamo storia? Quali sono le interconnessioni tra i cosiddetti vincitori e i vinti? Su quali premesse si fonda la modernità? Sono tante le domande che si pongono data la grande complessità dell’incontro-scontro tra le culture. Abbiamo (quasi) sempre l’idea che l’Europa sia il baricentro del mondo, ma non è così. L’attualità non fa che confermare la storia.
Cinque sale, tanti sguardi
La prima sala è dedicata a Milano nell’orbita spagnola, la seconda all’Asia, che diventa nuova protagonista mondiale specialmente nel Sei-Settecento. La terza sala inquadra la spartizione dell’Africa nella seconda metà dell’Ottocento. La quarta sala affronta i flussi migratori che coinvolgono Milano dalla seconda metà del Novecento attraverso opere di artisti contemporanei che indagano il tema dell’identità nella città multiculturale. La quinta e ultima sala è attualmente dedicata agli Afrodiscendenti e alla loro prospettiva identitaria nel contesto cittadino di oggi, che fa i conti con il passato, con quello che ne resta oggi, ma anche con il futuro. L’ultima sala vedrà modificato il tema e le opere esposte nel corso del tempo per dare spazio a altri sguardi, altre persone, altre comunità.
Milano nell’impero spagnolo
Nel XVI secolo il ducato di Milano viene inglobato nell’impero spagnolo, la principale potenza del tempo che, con la conquista del Messico e del Perù, rispettivamente nel 1521 e nel 1532, e di altri importanti territori americani, domina un’area vasta e ricca di risorse. Milano pone le proprie radici internazionali grazie alle nuove possibilità commerciali e di scambio, che portano in città oggetti esotici che entrano a far parte di collezioni cittadine. Le più importanti famiglie milanesi iniziano a commerciare su scala internazionale, e si interessano ai modi di vita dei paesi lontani. Federico Borromeo fonda la Biblioteca Ambrosiana. Il suo conservatore, Manfredo Settala, raccoglie migliaia di manufatti provenienti da tutto il mondo, fatto del tutto straordinario per il Seicento, andando a costituire una tra le più prestigiose collezioni di rilevanza internazionale. Milano cresce e invade il mercato mondiale con un aumento vertiginoso del volume degli scambi. I galeoni trasportano immensi carichi d’oro e d’argento americani. A seguito della scoperta nel 1545 delle ricche miniere boliviane d’argento di Potosì, l’argento trasforma anche la zecca ambrosiana. L’impatto dell’argento americano sarà dirompente sull’economia mondiale e devastante per le popolazioni native americane e per gli schiavi africani.




La passione per l’Oriente
L’Asia nel Sei-Settecento è un grande produttore di beni di lusso. La Cina e l’India sono il nuovo baricentro mondiale delle merci. Tantissime monete di argento americano invadono il mercato cinese e asiatico. L’argento americano, che diventa il principale vettore degli scambi in Asia, non passa dall’Europa, dove viene usato prevalentemente per pagare i debiti di guerra, ma va direttamente in Asia. Gli europei si innamorano dei prodotti asiatici: porcellane, lacche, tessuti di “cachemire”, ma anche di cotone e di seta, sono merci di altissimo livello qualitativo e tecnico dai costi molto alti. Il grande successo degli oggetti cinesi, che vengono importati in Europa e in Italia in grandi quantità, crea la moda delle “cineserie”, originali o d’imitazione d’ispirazione orientale e soprattutto cinese. La richiesta sul mercato dei prodotti manifatturieri provenienti dall’Impero cinese cresce esponenzialmente. Contrariamente all’idea spesso prevalente dell’Europa dominatrice rispetto all’Asia, dilaga all’epoca la passione per l’Oriente al punto che fiorisce un mercato italiano di imitazioni. Gli europei iniziano ad imitare i prodotti asiatici apprendendo alcune tecniche molto complesse, solo nel Settecento quella della porcellana. Gli orientali producono prodotti ad hoc per gli europei valutando il mercato europeo in grande espansione. Si intrecciano materie prime, mode, motivi e gusto importati dall’India, dalla Cina e dal Giappone che coinvolgono Milano tra le prime città d’Italia.
Scatola in metallo e smalto cloisonnè di manifattura cinese

La spartizione coloniale dell’Africa
La Conferenza di Berlino nel 1884-85 segna gli accordi tra le potenze europee per la spartizione dell’Africa e il marcato passaggio all’imperialismo militare che caratterizza l’espansione coloniale europea tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi cinquant’anni del Novecento. Il carattere violento della dominazione coloniale, la resistenza africana, la complessità delle interazioni culturali messe in atto parlano attraverso gli oggetti. Nella terza sala sono esposte 170 opere di produzione sia africana sia europea, che non vanno più indietro dell’Ottocento. Alcuni oggetti della cosiddetta arte tradizionale sono già un’arte di contatto, di contaminazione con l’Occidente. Diversi tipi di oggetti, che provengono da diverse parti dell’Africa, raccontano la storia del’incontro-scontro del colonialismo europeo che a fine Ottocento penetra nelle aree interne. Il colonialismo commerciale precedente, basato principalmente su un’economia di tratta degli schiavi, vedeva la presenza europea limitata alle coste. Anche se formalmente la schiavitù viene abolita nel 1807, in realtà continua nelle Americhe e in Africa. Questo passato divisivo tra chi è stato schiavizzato e chi ha contribuito all’opera di schiavizzazione pesa e ha conseguenze ancora oggi in Africa. Questa modalità violenta è quella attraverso la quale l’Africa partecipa della modernità, che si costruisce nel rapporto di triangolazione Africa-America-Europa. Eredità pesante in particolare per l’Italia che non ha mai fatto veramente i conti con il proprio passato coloniale. La guerra è stata fatta con le armi, ma anche con le immagini, con un’intensa opera di propaganda. I bianchi hanno usato i neri anche per combattere contro i bianchi. I fucilieri senegalesi sono stati usati in Siria, in Libano, in Vietnam e per la difesa della Francia nelle due guerre mondiali. Sotto l’etichetta di “senegalese” erano soldati dalle provenienze più diverse. Il fuciliere senegalese è rappresentato nell’iconografia come un selvaggio la cui forza è utile per combattere un barbaro ancora peggiore. Oggetto di una guerra di immagini è anche l’immagine più bonaria ma anche paternalista del prodotto a base di cacao per la colazione. La conquista, che è stata propagandata come un’opera di civilizzazione, di fatto è stata una violenta conquista che non ha creato cittadini ma sudditi.


Il tema dell’identità nella città multiculturale
La progressiva dissoluzione degli imperi coloniali dopo la seconda guerra mondiale dà avvio al processo di decolonizzazione. Viene chiamato Terzo Mondo quello che si delinea sui resti del mondo coloniale, in opposizione al primo mondo capitalista e al secondo socialista. La popolazione di Milano negli anni 1951-71 aumenta in modo vertiginoso passando da 1275mila a 1733mila abitanti. Gli immigrati che giungono dal Sud Italia vengono chiamati in senso dispregiativo “africani” dando continuità allo stereotipo coloniale. Negli anni Ottanta del Novecento Milano diviene la prima città italiana per migrazione extraeuropea e allo stesso tempo comincia a perdere abitanti locali che scelgono l’hinterland. A partire dagli anni Novanta la presenza straniera a Milano ha una crescita progressiva e dagli anni Duemila l’Italia diviene una delle principali destinazioni dei flussi migratori, specialmente dall’est Europa.
Nella quarta sala si analizzano i flussi migratori che coinvolgono Milano a partire dalla seconda metà del XX secolo attraverso opere di artisti contemporanei. All’interno del contesto di analisi del passato coloniale si inseriscono l’installazione di Cristina Donati Meyer Il vecchio e la bambina, che ha suscitato molte polemiche. L’artista ha voluto integrare il monumento al giornalista Indro Montanelli, presso i Giardini di via Palestro, mettendogli in braccio la ragazzina dodicenne eritrea sua sposa-bambina. L’opera di Alan Maglio propone invece una serie di ritratti fotografici doppi con l’accostamento di fotografie stampate su vecchie cartoline provenienti dal Corno d’Africa a ritratti contemporanei, che vengono messi in relazione indagando il tema dell’identità. Si tratta anche di una riflessione sulla natura del mezzo fotografico che, nato in Europa, accompagna la colonizzazione come un racconto iconografico.

Afrodiscendenti nella Milano contemporanea
L’ultima sala del percorso espositivo è dedicata alla Milano contemporanea e attualmente è incentrata sulla creatività delle generazioni di Afrodiscendenti. Frutto di un processo di museologia partecipata che ha scelto il metodo della partecipazione attraverso un gruppo di lavoro, è lo sguardo degli Afrodiscendenti o Afroitaliani su se stessi e su se stessi a Milano. Sono esposte 30 opere di artisti, scrittori, stilisti. Tra le opere il videoclip della canzone Foreplay di David Blank, corale e dall’alto contenuto politico e AfroFashion di M.F. Ngonmo. Dell’artista Marzio Emilio Villa, la serie Privileges che riflette sul concetto di privilegio, sulle conseguenze del colonialismo e sul fenomeno del Race shift ovvero quello in cui un gruppo dominante rivendica un’identità non bianca, creando una connessione forzata con le comunità oppresse. L’artista lavora per creare delle icone su quello che significa essere neri in Europa. Gli Afrodiscendenti fanno i conti con il proprio passato, con quello che ne resta oggi, riflettono su come si possa ricucire un rapporto che ha prodotto profonde lacerazioni, che chi ha subito eredita con il suo carico di sofferenza. Fare i conti con la memoria significa scegliere cosa dimenticare e cosa conservare per poter riprogettare il futuro.
Il tema e le opere dell’ultima sala verranno modificate nel tempo per dare spazio a espressioni culturali di altre comunità internazionali che vivono a Milano.



Informazioni pratiche
Mudec. Museo delle culture