58 Biennale di Arte di Venezia

 

L’artista cilena Voluspa Jarpa alla 58 Biennale d’Arte di Venezia (in programma fino al 24 novembre) nel Padiglione del Cile presenta l’interessantissimo Altered Views, Miradas alteradas. Analizzando la storia coloniale, che viene solitamente presentata dal punto di vista dei paesi egemoni, l’opera invita a invertire la prospettiva e a mettere in discussione il racconto dei grandi fatti storici in quell’ottica riflettendo su razzismo, patriarcato, interessi economici e dominio quali forme di colonialismo. Si tratta di un’opera di grande attualità in uno scenario mondiale in cui un riesame della storia europea e del suo approccio alle regioni non egemoniche risulta urgente.

 

La curatela è dello spagnolo Agustín Pérez Rubio, che dice: “Il progetto che abbiamo preparato non indaga soltanto la relazione in Europa tra la monarchia e il popolo e la loro evoluzione in termini egemonici, ma mette anche in discussione il modo in cui le colonie si sono adattate localmente attraverso nuove forme di egemonia, mettendo da parte le loro tradizioni, gli usi e i saperi, che sono stati soppiantati o persino dimenticati come conseguenza di quell’eredità coloniale egemonica.”

 

Il percorso dell’esposizione è composto da tre spazi/modelli culturali contrapposti: il Museo del Hombre (The Hegemony Museum), la Galeria de Retratos de Subalternos (The Subaltern Portrait Gallery) e l’Opera de Emancipacion (The Emancipating Opera). Il progetto di Voluspa Jarpa, artista nota per i suoi lavori connotati politicamente, è il frutto di anni di ricerca condotti su documenti declassificati dalla CIA.

 

58 Biennale di Arte di Venezia
Voluspa Jarpa, Galeria de retratos subalternos

 

L’intervista

 

Lei è tra gli artisti cileni più influenti sulla scena internazionale. Qual è stata l’evoluzione della scena artistica cilena dagli anni 1990 con la cosiddetta “riconciliazione nazionale” e oggi è aperta al mondo o circoscritta al Cile?

 

Dal punto di vista politico il processo di transizione alla democrazia è terminato con l’arresto di Pinochet a Londra. In campo artistico si tratta di un processo lento, prima l’arte era opposizione alla dittatura, poi si sono poste altre questioni. Il processo è molto lento.

 

Un artista cileno si può affermare in patria o deve lasciare il Paese per affermarsi?

 

Tiene que salir del Paìs, deve andare via dal Cile, io ho vissuto in Brasile e in Paraguay.

 

 

Cosa vuole comunicare l’installazione Altered views, in spagnolo Miradas alteradas?

 

È un esercizio, frutto di un grosso lavoro di ricerca durato quindici anni. Alla fine mi sono chiesta: da dove viene questo potere egemonico e quali sono le sue basi? Ho studiato il pensiero eurocentrico con tre nozioni: la nozione di classe sociale; la nozione di genere (le donne escluse dalla partecipazione. A me interessa anche la storia delle relazioni uomo-donna, tornata oggi di attualità); la nozione di razza.

 

Lei ha utilizzato i documenti che sono stati declassificati dalla CIA nel suo lavoro di ricerca sui paesi latinoamericani o anche su altre realtà?

 

Ho esaminato i documenti relativi al Cile in primo luogo, poi quelli su altri 17 paesi latinoamericani, relativamente ai golpe, la violenza, la dominazione, ma ho anche studiato la guerra fredda, Gladio, l’attentato di Bologna, il rapimento di Aldo Moro.

 

Che cosa rappresenta The Emancipating Opera, 12 minuti di filmato, molto bello?

 

L’Opera de Emancipaciòn è un’opera di emancipazione nel senso che porta a pensare al di fuori di quelle categorie che hanno segnato la storia dell’Occidente e delle sue colonie.

 

La 58 Biennale segna un record: per la prima volta sono presenti più donne che uomini. Pensa che un’artista donna possa apportare una diversa visione?

 

Per fare questo lavoro ho lavorato con centoventi persone in dialogo, ascolto e affetto, molte delle quali donne. La partecipazione che viene dal fatto di essere donne, di sapersi mettere al posto dell’altro, porta a non avere una relazione puramente intellettuale e di potere, ma anche affettiva.

 

Qual è la situazione per le artiste cilene oggi?

 

Hanno molta visibilità e riconoscimento ora. È un momento interessante, femminista, che viene dalle giovani studentesse che esortano a formare un altro tipo di società e hanno fatto prendere coscienza anche alle artiste meno giovani.

 

Se dovesse lasciare il Cile, quale contributo artistico idealmente porterebbe con sé e perché?

 

Mi porterei via la forza di Violeta Parra, la sua capacità di resilienza, lei cantautrice e artista, che registrava la musica e le voci popolari.

 

In un contesto globale politico e sociale regressivo, compreso quello dell’America Latina, come sta il Cile oggi?

 

C’è una coscienza storica, c’è la volontà di costruire una verità collettiva, c’è la forza di aver potuto portare la verità nei tribunali.

 

Il problema principale del Cile oggi?

 

Il razzismo verso gli indigeni e i meticci, il classismo e il machismo, che al momento è molto criticato.

 

La principale opportunità?

 

Molti cileni hanno sostenuto il mio lavoro, la mia opera. Oggi in Cile è grande la capacità di riconoscersi e di lavorare insieme, ora è possibile tornare a dialogare. È un momento di riconciliazione, di rencuentro civil. Il processo è stato lungo, ci sono voluti 30 anni, dall’inizio degli anni ’90.

 

 

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